martedì 15 maggio 2012

Il posto più vicino fuori dal mondo


7 aprile. Ore 06.20
Il furgon per Koman ci aspetta. Il viaggio dura circa 2 ore, durante il tragitto siamo immersi in una fitta nebbia, che ricopre i torrenti e le montagne che il nostro avventuroso mezzo di trasporto attraversa facendomi sentire come in mezzo al nulla. Mi sento come quel viaggiatore che a bordo della sua Norton 500 attraversa le Ande, certo del fatto che quello che sto vivendo andrà inevitabilmente a far parte di un ricordo che porterò dietro per sempre.
Arrivati a Koman saliamo sul barca-bus, un autobus di linea saldato sopra lo scafo di una grossa barca. L’autista-comandante guida-naviga utilizzando il volante del vecchio autobus, che ormai non è più né autobus né barca. Sul nostro barca-bus in tre ore attraversiamo il lago di Koman, che più che un lago sembra un fiordo norvegese. Le fermate sono “a richiesta”, e l’autista-comandante fa scendere le persone sulle sponde del lago-fiordo là dove iniziano i sentieri di montagna che portano fino alle  case. Immancabili i sacchi di farina da 25 kg, che dopo i recenti mesi di isolamento a causa della neve sembrano essere la merce più scambiata della zona. Io stesso la mattina seguente avrò l’onore e l’onere di portare uno di quei sacchi lungo gli stretti sentieri fangosi che si inerpicano tra le montagne.
Dopo aver dormito in un blok dell’era comunista riusciamo finalmente, dopo 2 giorni di viaggio ad arrivare in Valbona.
Prendete una valle, circondatela di montagne altissime, riempitela di corsi d’acqua e cascate, ricopritela di neve per gran parte dell’anno, aggiungete qua e là qualche casa in legno ed avrete la Valbona.
Dormiamo in un agriturismo, siamo i primi ospiti dell’anno. Nelle camere fa freddissimo, tra le assi di legno che costituiscono la struttura portante dell’abitazione ci sono dei buchi, attraverso i quali si vede la neve. La morsa del freddo è terribile, ma è decisamente compensata dal calore con cui siamo accolti. Al piano di sotto, dove stiamo per la maggior parte del tempo, ci vengono serviti i cibi che la famiglia è solita consumare quotidianamente: formaggio di capra, carne, verdure, uova sode e l’immancabile raki, che scalda quasi quanto il fuoco perennemente acceso nel camino. Le discussioni con la famiglia davanti ad un caffè turco mi ricoprono di un calore difficile da descrivere. Il tempo si ferma e vorrei far finta di rimanere isolato in Valbona per godere ancora del magnifico paesaggio e del silenzio di cui in città sento molto la mancanza.
Solo ora capisco cosa sia la famosa ospitalità albanese, ospitalità è quando Bledar, nel salutarmi mi dice:  
“tornate quando volete, perché gli amici non hanno bisogno di un invito, sono sempre i benvenuti”.

Salludi e trigu