giovedì 29 dicembre 2011

Il Bosforo sfocia a Tirana

E' il 30 Novembre 2011 e dopo mesi di trepidante attesa finalmente sono stato chiamato per la selezione di 2 volontari per il servizio civile nazionale all'estero ad Istanbul. Dopo aver passato una notte insonne grazie al fragoroso russare del mio compagno d'ostello brasiliano mi sveglio presto la mattina e mi avvio alla sede dell'IPSIA, è poco distante e a piedi impiego solamente una decina di minuti. Scopro che i candidati sono circa 50 per soli 2 posti, il che non mi rallegra, ma non mi crea neanche troppi problemi, alla fine non ho nulla da perdere. Quando arrivano tutti gli altri candidati un responabile inizia ad esporre le prove, che saranno organizzate così: prima prova analisi di un progetto di circa 15 pagine, relazione individuale e successivamente discussione collettiva; seconda prova di informatica con annesso foglio di calcolo excel e terza prova colloquio individuale in lingua italiana ed inglese. La prima prova la trovo terribile, passo i primi 18 dei 20 minuti che ho a disposizione a leggere il testo e quando mi accorgo che il tempo è praticamente finito riesco solo a scarabocchiare due righe su dei trattori di cui si parlava nel testo, e letteralmente impallidisco quando vedo intere pagine scritte dagli altri candidati...La discussione collettiva del testo non và molto meglio, tutti parlano a voce alta, dicono la loro opinione e spesso parlano solo per farsi notare. Io sto zitto, ascolto e prendo nota. Non mi è mai piaciuto il dover dimostrare per forza, il dover rendere conto agli altri di quello che ho fatto, scritto o detto. Le prove successive per foruna vanno molto meglio, benedico la mia permanenza all'estero per l'inglese e l'aver fatto le industriali per la prova excel. 
Torno a casa certo di non esser stato selezionato, ma felice di aver trascorso un intera giornata con delle persone simpatiche che hanno i miei stessi interessi.
Qualche giorno dopo squilla il telefono. Erano le 10, ancora dormivo. Mi alzo dal letto, cerco il telefono e quando lo prendo in mano vedo il prefisso di chi chiama, 06___  in un attimo capisco tutto, è l'ipsia. 

- Roberto Mannai?
- Si, mi dica.
- Ipsia, lei è stato selezionato per un progetto del servizio civile nazionale all'estero, però non per la Turchia bensì per l'Albania, che fa, accetta?
- mi dia 5 minuti per rifletterci, comunque SI.
-ok, attendo una sua mail di conferma, a presto.

Un anno in Albania, e mi ero dato solo pochi attimi per pensarci, alcune volte mi sorprendo di me stesso...
Volevo tornare ad Istanbul e ho vinto un progetto per Scutari, in Albania. Noi ci facciamo dei piani, ma per fortuna il caso, che qualcuno si ostina a chiamare destino, si diverte a mettere tanti incroci sulla nostra via, e allora balcani siano.
Non resta che tirare i remi in barca e farsi trasportare dalla corrente, che questo vento prima o poi ci farà arrivare ad un approdo sicuro. Viaggiare è anche questo, essere consapevoli che per quanto tu ti possa sforzare a remare controvento prima o poi dovrai alzare le vele e farti trasportare verso una nuova e magnifica avventura. Nonostante le cartine dicano sia impossibile, io sono pronto a giurare che è vero, il mio Bosforo è sfociato nell'Adriatico...

martedì 27 settembre 2011

Inshallah

Sono passati ormai due mesi dal mio ritorno in Italia. Che dire... Di certo non è tutto come avevo immaginato, questa sorta di amore e odio viscerale verso la Turchia si è decisamente spostato in direzione a dir poco romantico-nostalgica. Tutto quello in cui credevo e per cui mi sono adoperato durante il mio soggiorno turco oramai non esiste più, ma tante altre possibilità si sono aperte e la voglia di andare altrove ormai regna sovrana. Ci sono tante cose della Turchia che porterò sempre con me, una su tutte i profumi di Istanbul. Quel meraviglioso odore di narghilè alla mela che sprigionava la Madrasa di Sultanahmet, il sorriso dei pescatori sul ponte di Galata, gli anziani che giocano a tavla sorseggiando thè per le strade, quella genuinità nei rapporti umani che ormai difficilmente riesco a vedere qui da noi. Mi mancheranno tante cose di Istanbul, tante di queste sono colori, come quelli dei veli delle donne che camminano per strada, altri sono sapori, come quello indimenticabile del salep o della baklava, altri ancora sono odori, come quelli delle spezie nei mercati sotto casa o degli simit caldi la mattina presto. Ma la maggior parte dei miei sentimenti son legati ai ricordi, e a quelli, a quelli non si può porre rimedio. Che arrivino impetuosi come scariche d'adrenalina o subentrino pian piano per colpa di un gesto, una parola o una foto, non conta, sono quelle senzazioni che ti faranno sempre sorridere e piangere allo stesso tempo. Se dovessi riassumere i miei sei mesi in un immagine sarebbe quella che sta qui sopra, io al centro di un incrocio, fermo, immobile, mentre osservo lo scorrere intorno a me di fiumi di persone, atteggiamenti che per loro sono quotidianità, ma per me sono magia, sono lacrime sono colori su un tappeto scolorito dal tempo che se volesse potrebbe volare, ma non lo fa, tutto quello di cui ha bisogno è là, al centro di un incrocio mentre osserva il mondo passargli davanti in silenzio.

sabato 26 febbraio 2011

Grande famiglia

Il mio primo post istanbuliota avrebbe dovuto riguardare le bellezze della città, con tanto di foto della Moschea blu o di Aya Sofya, invece no. A volte ci sono cose più importanti, perfino nella "città delle città".
Necmettin, 40 anni e 2 figli, da due anni è costretto a lavorare in una città che non gli appartiene, e che abbandona solo due volte all'anno per far visita alla sua famiglia. Neci è forse la persona più gentile e altruista che conosca, il suo conto bancario è in rosso, ma non permette mai che paghi tutto io o che sparecchi il tavolo. Per lui sono un ospite, e l'ospite è sacro.
E' bello riuscire a trovare tracce di una perdutà solidarietà umana in un mondo che si fa sempre più individualista. Ci hanno fatto crescere con l'idea che dovevamo studiare per essere i più bravi, che dovevamo impegnarci in tutto per battere i nostri avversari, che gli altri un giorno ci avrebbero invidiato. Siamo cresciuti nel mezzo di un'infinita competizione. Non voglio essere il più bravo, non voglio essere invidiato e non voglio battere nessuno. Ognuno di noi dovrebbe dedicare il proprio tempo ad insegnare agli altri il poco che sa, dovrebbe crescere con l'idea che si apprende non per diventare i più bravi, ma per diventare persone migliori.


domenica 6 febbraio 2011

Il cuore pulsante di Ankara

Deciso a vedere il cuore pulsante di questo splendido popolo oggi mi sono messo in testa di visitare il mercato della periferia. Inauguro la giornata intorno alle 12 mangiando un bel panino con hamsi fritti, una specie di sardina, perchè si sa, a stomaco pieno si ragiona molto meglio.
Ad un primo sguardo non si capisce bene dove inizi e dove finisca il mercato perchè le bancarelle sono ovunque, dall'immensa zona in cui vendono cellulari(di cui i turchi vanno pazzi a quant'ho capito), alla zona delle lavatrici, a quella dell'abbigliamento, a quella degli alimentari. Opto per quella di abbigliamento e alimenti, perchè mi pare quella più affollata e senz'altro anche quella più impregnata di cultura turca. Le strade sono larghe circa due metri e i negozi stanno da entrambe le parti per circa 2km. Camminare al centro sembra parecchio arduo, c'è infatti un torrente causato dallo scioglimento della neve di questi giorni, ma le mie nuove scarpe sembrano assolvere bene il loro compito. Mentre curioso tra i negozi vengo accolto dai merhaba dei negozianti, il che mi fa piacere perchè non vengo subito identificato come turista, i miei capelli scuri e la barba in questo caso aiutano. Le persone sono molto cordiali, non mancano le classiche battute sul calcio (oggi ho detto di tifare il Galatasaray), e in breve mi sento veramente a mio agio. Nascosto tra alcune macerie noto un piccolo "bar", la porta è senza maniglie, i vetri sono sporchissimi, e chiaramente l'insegna è scritta con un pennarello sul cartone. Decido di entrare. All'interno il pavimento è sudicio, i muri sono ammuffiti e gli anziani fumano e giocano a carte accanto all'enorme immagine di Atatürk. Mi siedo ad un piccolo tavolo con la tovaglia che ormai di bianco non ha che il ricordo ed accanto a me ho un vecchietto con cui dopo aver ordinato un thè tento di intraprendere un discorso. Nonostante il posto mi sento realmente a mio agio, molto meno fuori posto di quando due gioni fa ho dovuto mangiare in un fast food. Dopo aver osservato a lungo la partita di carte pago il mio thè( 0,25€) e vado via.
Per strada i commercianti mi incoraggiano ad assaggiare le loro carrube, che a dir loro sono le più dolci della Turchia. Fino ad oggi mi sono sempre limitato a darle un calcio quando le vedevo per strada o a maledirle quando dopo essere marcite emettevano il loro terribile puzzo. Osservare è anche questo, guardare con altri occhi quello a cui per anni non hai fatto caso.


Guardali negli occhi

Solo ora ho visto veramente la Turchia, era negli occhi dei bambini che correvano per strada, era nelle mani degli anziani rovinate dal tempo, era negli occhi tristi di un donna che per vendermi un portachiavi dal valore irrisorio ha fatto a perdifiato la salita innevata del suo piccolo villaggio.
Cos'ero io per loro?probabilmente solo un turista arrivato per stranirsi di quanto loro siano poveri.
Tutto questo ha probabilmente cambiato le prospettive del mio viaggio, se si vuol capire l'anima di un popolo questa non può essere trovata nelle biblioteche o nei centri di cultura, essa è legata alle storie che raccontano gli anziani, è legata al modo che le persone hanno nel rapportarsi con te.
Si può vagare per migliaia di chilometri e non vedere niente. La maggior parte delle persone si limita solamente a guardare, ma in realtà non vede. E allora bisogna analizzare i silenzi piuttosto che le parole, e le persone piuttosto che i libri.