C’era
una volta un faraone e anche in questo racconto, come in tutti quelli dell’Antico
Egitto, anche qui il faraone aveva un potere assoluto. La vita e la morte di una
persona dipendevano da un no o da un sì, da un sorriso reputato non veritiero o
da un’azione considerata contro i princípi egizi, che erano soliti
cambiare molto spesso.
Questo
faraone governò il suo paese con pugno di ferro per quarant’anni, cambiando
così per sempre la storia dei suoi sudditi.
Quando
morì, come tutti i sovrani dell’antico Egitto, fu costruita per lui una grande
piramide, affinché il suo ricordo rimanesse scolpito nel tempo e nella memoria.
Ogni volta che avrebbero rivolto lo sguardo alla piramide i suoi sudditi si
sarebbero ricordati del faraone e del suo governo, si sarebbero ricordati di
come la loro vita in quel periodo fosse stata difficile e di come con il passare
degli anni fosse cambiata. Quella piramide sarebbe sempre stata un simbolo, di
un momento tragico e di come si è riusciti a superarlo.
Dopo
trent’anni dalla morte del faraone i suoi successori si misero in testa che
quel monumento funerario doveva essere distrutto. Loro erano i campioni del
disfare e ricostruire, conoscevano solo parole come cemento, televisione,
appalti e denaro. La parola “storia” era stata abolita dal vocabolario,
relegata insieme alla parola “ideali” in un armadio sepolto sotto cento metri
di incuria, fatalismo e paura di esprimere le proprie idee. Cento metri figli
di generazioni a cui era sempre stato negato poter pensare fuori dal coro, a
cui era stato spiegato che non era necessario avere delle idee, c’era chi
indicava quali erano quelle giuste e tu dovevi solo obbedire.
Girando
per le vie di questo balcanico Egitto le tracce del faraone sono difficili da
individuare, e ho sempre più la sensazione che a scavare a fondo non si riesca
a trovar nulla, ma si rimanga solo più impolverati.
Anche
se oggi il faraone non diventa tale per via dinastica ma per via elettorale, i dirigenti
odierni fanno parte della stessa cerchia dell’antico faraone, magari medici personali,
lontani parenti o più semplicemente amici o compagni. Dopo esser stati per
decenni a braccetto col faraone ora si sfidano a chi meglio è riuscito a
riciclarsi. Anche a loro, come al loro vecchio amico/compagno/paziente tutto è
consentito. Niente è irrealizzabile. Il loro volere non è imposto né con la forza
né con la reverenza nei confronti di una figura divina, ma bensì attraverso molto
più materiali pezzi di carta chiamati denaro.Ora
si sono messi in testa di distruggerla quella piramide, “loro non ascoltano.
Non hanno orecchie. In quello che loro chiamano sviluppo, non c’è posto per
ricordi né di storia né di cultura. Non hanno tempo per tutto ciò. Magari dopo,
quando avranno costruito/distrutto tutto. Il loro fine è preciso: il guadagno.
Fare e disfare ha un costo. E qualcuno guadagna, alle spalle di chi paga le
tasse, a scapito di un futuro che non avrà un passato”.
“Dubcek
direbbe che poteva andare diversamente e almeno lui ha fatto in tempo
a vedere la differenza a volta astratta tra un regime imposto con i
carri armati ed uno imposto più sottilmente col dollaro, il marco, l'euro.”
Salludi e trigu