sabato 26 febbraio 2011

Grande famiglia

Il mio primo post istanbuliota avrebbe dovuto riguardare le bellezze della città, con tanto di foto della Moschea blu o di Aya Sofya, invece no. A volte ci sono cose più importanti, perfino nella "città delle città".
Necmettin, 40 anni e 2 figli, da due anni è costretto a lavorare in una città che non gli appartiene, e che abbandona solo due volte all'anno per far visita alla sua famiglia. Neci è forse la persona più gentile e altruista che conosca, il suo conto bancario è in rosso, ma non permette mai che paghi tutto io o che sparecchi il tavolo. Per lui sono un ospite, e l'ospite è sacro.
E' bello riuscire a trovare tracce di una perdutà solidarietà umana in un mondo che si fa sempre più individualista. Ci hanno fatto crescere con l'idea che dovevamo studiare per essere i più bravi, che dovevamo impegnarci in tutto per battere i nostri avversari, che gli altri un giorno ci avrebbero invidiato. Siamo cresciuti nel mezzo di un'infinita competizione. Non voglio essere il più bravo, non voglio essere invidiato e non voglio battere nessuno. Ognuno di noi dovrebbe dedicare il proprio tempo ad insegnare agli altri il poco che sa, dovrebbe crescere con l'idea che si apprende non per diventare i più bravi, ma per diventare persone migliori.


domenica 6 febbraio 2011

Il cuore pulsante di Ankara

Deciso a vedere il cuore pulsante di questo splendido popolo oggi mi sono messo in testa di visitare il mercato della periferia. Inauguro la giornata intorno alle 12 mangiando un bel panino con hamsi fritti, una specie di sardina, perchè si sa, a stomaco pieno si ragiona molto meglio.
Ad un primo sguardo non si capisce bene dove inizi e dove finisca il mercato perchè le bancarelle sono ovunque, dall'immensa zona in cui vendono cellulari(di cui i turchi vanno pazzi a quant'ho capito), alla zona delle lavatrici, a quella dell'abbigliamento, a quella degli alimentari. Opto per quella di abbigliamento e alimenti, perchè mi pare quella più affollata e senz'altro anche quella più impregnata di cultura turca. Le strade sono larghe circa due metri e i negozi stanno da entrambe le parti per circa 2km. Camminare al centro sembra parecchio arduo, c'è infatti un torrente causato dallo scioglimento della neve di questi giorni, ma le mie nuove scarpe sembrano assolvere bene il loro compito. Mentre curioso tra i negozi vengo accolto dai merhaba dei negozianti, il che mi fa piacere perchè non vengo subito identificato come turista, i miei capelli scuri e la barba in questo caso aiutano. Le persone sono molto cordiali, non mancano le classiche battute sul calcio (oggi ho detto di tifare il Galatasaray), e in breve mi sento veramente a mio agio. Nascosto tra alcune macerie noto un piccolo "bar", la porta è senza maniglie, i vetri sono sporchissimi, e chiaramente l'insegna è scritta con un pennarello sul cartone. Decido di entrare. All'interno il pavimento è sudicio, i muri sono ammuffiti e gli anziani fumano e giocano a carte accanto all'enorme immagine di Atatürk. Mi siedo ad un piccolo tavolo con la tovaglia che ormai di bianco non ha che il ricordo ed accanto a me ho un vecchietto con cui dopo aver ordinato un thè tento di intraprendere un discorso. Nonostante il posto mi sento realmente a mio agio, molto meno fuori posto di quando due gioni fa ho dovuto mangiare in un fast food. Dopo aver osservato a lungo la partita di carte pago il mio thè( 0,25€) e vado via.
Per strada i commercianti mi incoraggiano ad assaggiare le loro carrube, che a dir loro sono le più dolci della Turchia. Fino ad oggi mi sono sempre limitato a darle un calcio quando le vedevo per strada o a maledirle quando dopo essere marcite emettevano il loro terribile puzzo. Osservare è anche questo, guardare con altri occhi quello a cui per anni non hai fatto caso.


Guardali negli occhi

Solo ora ho visto veramente la Turchia, era negli occhi dei bambini che correvano per strada, era nelle mani degli anziani rovinate dal tempo, era negli occhi tristi di un donna che per vendermi un portachiavi dal valore irrisorio ha fatto a perdifiato la salita innevata del suo piccolo villaggio.
Cos'ero io per loro?probabilmente solo un turista arrivato per stranirsi di quanto loro siano poveri.
Tutto questo ha probabilmente cambiato le prospettive del mio viaggio, se si vuol capire l'anima di un popolo questa non può essere trovata nelle biblioteche o nei centri di cultura, essa è legata alle storie che raccontano gli anziani, è legata al modo che le persone hanno nel rapportarsi con te.
Si può vagare per migliaia di chilometri e non vedere niente. La maggior parte delle persone si limita solamente a guardare, ma in realtà non vede. E allora bisogna analizzare i silenzi piuttosto che le parole, e le persone piuttosto che i libri.